Lettara per una amica.

E' pomeriggio. L'aria sporca, calda e umida, torrida, grava sulle nostre mucose e sui nostri polmoni e come un consunto fluido abrasivo. Ci avvolge un velo di sudore matido che non ci lascia traspirare la pelle, quasi fosse olio tiepido o sostanza plastica. I panni s'attaccano alla pelle, appicicaticcia e acre, odorosa di farmaco, e il respiro tende al rantolo più che al liberatorio atto apportatore di fresca energia vitale. Gli arti tremano come foglie, o sciami di insetti colpiti da gas nervini. Su di noi transita veloce un cielo oceanico plumbeo e livido, violaceo e tempestoso. Foriero di fulmini e tuoni ma non di pioggia. Questo cielo pare l'ultimo memento alla stupidità umana.

Gli operatori ci fanno dormire al massimo dell'umanamente possibile: 14 ore al giorno, il 58% delle nostre vite, Farci dormire tutti 14 ore esatte, per 2, 3, 5 o 10 anni filati, è una calibrata opera di ingegneria biomedica. Mi chiedo quale impatto sulla nostra fisiologia, sulla nostra salute e sulla nostra psiche, avrà questo invasivo intervento narcolettico. Immagino gravi pesantemente anche sull'indice di massa corporea e sul muscolo cardiaco. Il suo effetto sul mio umore è devastante: mi sento avvizzire il cuore.

Nel sonno che mi hanno fatto fare questo pomeriggio, credo di aver avuto degli incubi, anche se non ricordo cosa. Credo fosse qualcosa legato alla malattia, alla povertà o alla solitutudine. Forse tutto questo assieme. Faccio fatica a liberarmi dalla malia del sonno chimico di oggi, turbato nel profondo dall'incerto contingente e dall'ancora più profondamente aleatorio futuro.