Solitudine, lacci e follia: il volto pulito del nuovo manicomio.

Da quando mi hanno arrestato, dieci mesi fa, ciò che sperimento con maggior profondità, è l'abisso della solitudine. Buona parte di quelli che credevo amici, si sono rilevati meri conoscenti e si sono rapidamente allontanati da me. I pochi buoni amici che mi rimangono, li sento comunque poco di frequente, in modo del tutto inadeguato ai miei profondissimi bisogni di socialità. Il cerchio dei parenti, da tempo, mi tiene ai suoi margini, m'esclude. Come la pelle grassa di benessere repelle la fresca rugiada del mattino, così la vergogna dei parenti, mi tiene lontano. Amici nuovi, recluso tutto il giorno, posso acquisirne pochi o nessuno. All'interno della comunità, la socialità pare sostanza innaturale e sintetica. Se accarezzata con i sensi del derma, sa di plastica, cinghie, e farmaci. Nutre un odore sintetico sgradevole e innaturale, come quello di una dieta bilanciata, noiosa e ripetitiva. Tutto sa di farmaci, cibo e feci, anche il nostro sudore intorpidito dal sonno. In questa comunità siamo tutti profondamente sedati, e dormiamo 14 ore al giorno, cronometrate. Più che uomini e donne, pare d'essere animali di laboratorio, pascolati da una gabbia all'altra, da un recinto all'altro, accompagnati dall'abbraccio condiscendente e paterno della pubblica pietà, dalla pubblica condanna. Le interazioni con gli operatori della comunità sono minime e "professionali", quando non esplicitamente "formali", secche o aspre. Giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno, questo nuovo volto "umano" del manicomio giudiziario diventa la mia nuova quotidiana, la mia nuova normalità. Penetra non voluta nel mio essere, m'assimila lo sguardo. In questo mondo artificiale che sa di feticcio e di plastica, pianificato fin nei più minuti particolari dell'accoglienza, m'abbarbico in estremo sforzo di sopravvivenza, come un convolvulo al fruttice spinoso e sofferto (ma vivo) della poesia. Mai quanto prima d'ora l'apprezzo, preziosa risorsa dell'animo. Alda Merini, e la sua invidiabile capacità d'amare nel non spazio, nel non tempo, nel non luogo, nel manicomio, diventa un faro luminoso nella notte dl un presente senza storia e senza alcun perché.