Verso l'estate

Anche questo pomeriggio ho dormito. Un sonno greve, pesante, sudato e rantoloso. Animato da sogni intensi e frettolosi. I ricordi s'infiammavano come esplosioni, avvolgendomi di fiamme fredde, per poi riassorbirsi nel mio corpo in fiamme, e a lasciarmi un rantolo in più. Via un sogno, via quello dopo, ricordo dopo ricordo, fino all'ultima fiammata pesante e roca.

Nel primo pomeriggio ci radunano come pastori nei locali di disimpegno dell'area notte, per trasferirici nell'area giorno della struttura. Non ho mai visto questa comunità tanto avvilita, vinta, sconfitta e perduta. Ci spostiamo ciondolando senza parlare, senza loquire o fiatare, lenti come pachidermi di plastilina. Portiamo tutti al piede una pesante palla di ferro che ci impedisce di muoverci, pensare, parlare, ragionare, provare. E' la prigione che ci segue ogni istante, ogni passo delle nostre vite: è la prigione chimica del trattamento medico della nostra follia criminale.

Transitiamo nel giardino della comunità ad alta protezione, spostandoci sotto un cielo accecante e anomalo come un ferragosto al solstizio d'inverno. Il cielo è azzurro color stoviglia pallida, spazzato in quota da forti venti che spostano rapidi a Sud gli aeroplani a reazione e i Jet Nella settimana scorsa le nubi veloci e giuzzanti transitavano rapide accavallandosi verso oriente come grasse danzatrici gravide di piogge che non sono cadute.

Prendiamo posto nella ampia sala dell'area diurna. Un utente accende la televisione. Allegra l'operatrice entra. "Allora oggi facciamo arterapia", dice con voce squillante felice. Nella sua voce squilla una primavera che sa di brulicare di vita. Nessuno risponde alla sua felicità. Ognuno di noi sa che in definitiva da tempo non è più una persona, ma un fascicolo un procura, una cartella clinica fitta fitta di informazioni nosocomiali.